Il percettore di Rdc che lavora in nero rischia il carcere

8 lug 2022 La pena della reclusione può essere inflitta al percettore di Reddito di cittadinanza che ometta di comunicare l’avvenuta assunzione o, comunque, lo svolgimento di attività lavorativa, anche quando questa sia irregolare (Corte di Cassazione, Sentenza 04 luglio 2022, n. 25306).


Il principio è stato stabilito dalla Corte di Cassazione nel giudizio instaurato su ricorso proposto da un soggetto, beneficiario del reddito di cittadinanza, condannato per il reato previsto dall’ art. 7, co. 2, I. 28 marzo 2019 n. 26, il quale aveva omesso di comunicare l’avvenuta assunzione o, comunque, lo svolgimento di attività lavorativa, presso una ditta individuale.


L’imputato aveva impugnato dinanzi alla Suprema Corte la decisione di condanna, denunciando errata applicazione del cit. art. 7 e un vizio della motivazione, nella parte in cui affermava la sussistenza dell’elemento intenzionale della condotta, in quanto l’attività lavorativa che aveva svolto era, in realtà, priva di retribuzione, come confermato dallo stesso datore di lavoro, non essendo neppure stata accertata la corresponsione di salari.
Detta attività, secondo quanto dedotto dall’imputato, era stata da lui svolta mentre era sottoposto alla detenzione domiciliare al solo scopo di alleviare le afflizioni derivanti dalla detenzione; pertanto l’omessa comunicazione contestata non rientrava tra le condotte punibili contemplate dalla norma incriminatrice, in quanto essa non avrebbe potuto comportare la revoca del beneficio, con la conseguente irrilevanza penale della comunicazione e della sua omissione.


La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendo condivisibile la ricostruzione operata dai giudici di merito.


La Corte d’appello, difatti, nel disattendere il primo motivo, sostanzialmente replicato con il ricorso per cassazione, aveva correttamente ribadito la configurabilità del reato contestato all’imputato a causa dell’omessa comunicazione all’Inps dello svolgimento di attività lavorativa retribuita, seppure irregolare, sottolineando l’inverosimiglianza di quanto dichiarato dall’imputato e dal datore di lavoro, a proposito della gratuità dell’attività lavorativa svolta dal primo, che sarebbe stata compensata solo con regalie saltuarie. Da tanto discendeva la configurabilità del reato in conseguenza dell’ omessa comunicazione di una variazione patrimoniale rilevante, sussistente anche nel caso di conseguimento di somme di denaro per donazione.


Sulla scorta di tanto i Giudici di legittimità hanno ritenuto coerente e scevro da vizi logici il ragionamento posto a base della sentenza censurata, fondata sulla corretta applicazione della comune regola di esperienza, secondo cui l’attività lavorativa, anche se irregolare, viene retribuita, deponendo in tal senso anche quanto riconosciuto dallo stesso datore di lavoro, che, sia pure qualificandole come regalie corrisposte in occasioni particolari, ha riconosciuto la corresponsione di compensi all’imputato per l’attività lavorativa svolta nel suo interesse.